A proposito di messe in scena: non vi sembra che il Cammino Neocatecumenale abbia cristallizzato in una propria liturgia le intemperanze carismatiche del primo post-Concilio?
In particolare:
la gestione da parte dei laici della prima parte della celebrazione, con la mensa della Parola imbandita di "parole umane" nelle lunghe monizioni, e nelle omelie laicali costituite dalle "risonanze";
la concelebrazione: la comunità a tutti gli effetti concelebra con il sacerdote, assumendo insieme con lui il corpo di Cristo come fosse appunto un sacerdote concelebrante;
la forzatura della comunione sotto le due specie con un pane che non si può conservare, e quindi non può essere adorato nel Tabernacolo e nell'ostensorio né portato ai malati, come se la presenza di Gesù Cristo in corpo, sangue, anima e divinità fattosi per noi pane e vino si fermasse a quei momenti di distribuzione e "degustazione" comunitaria.
Ciò significa che, mentre la Chiesa è maturata e ha superato, in gran parte, l'ubriacatura a causa della quale Paolo VI implorava di tornare ai valori fondanti del Concilio Vaticano II, il Cammino Neocatecumenale l'ha consolidata e la vive ancora così come era stata pensata più di 60 anni fa.
A commento, un'immagine ed una didascalia del 1974, ancora perfettamente validi ed attuali.